Non importa in quale misura siano diventati precisi e accessibili i sistemi di comunicazione finanziaria, tesi a spiegare in maniera comprensibile e rapida il senso reale dei complessi dati economico-finanziari che risultano dall’analisi del mercato e delle aziende che lo compongono; quando parliamo al largo pubblico della Borsa Valori, questo risulta in ogni modo un mondo impenetrabile, incomprensibile e quasi scioccante, come se fosse regolato da leggi e sistemi completamente alieni a quelli a cui siamo abituati, come se fosse un’invenzione recentissima che ancora non c’è stato tempo di osservare e capire. Per questo affidarsi a degli esperti di comunicazione finanziaria come Altrapagina è spesso la scelta migliore. Ma la realtà è ben diversa dalla concezione comune, e la Borsa Valori, così come la finanza in genere, esiste e fa parte della nostra società da secoli. Proviamo a ripercorrerne la storia, e imparare che, in fin dei conti, non fa tutta questa paura.
Chiariamo anzitutto un concetto piuttosto elementare, ma fondamentale e che ci sarà molto comodo nel corso di questo viaggio: ciò che si scambia in una Borsa Valori – ciò che è sostanzialmente l’oggetto dell’intera Finanza – è il debito di un’ente (un’azienda o una persona) verso un altro. E la nozione di debito, e quindi di prestito ad interesse, non è certamente una novità: se cerchiamo documentazioni storiche, ne troviamo su tavolette d’argilla risalenti alla civiltà Mesopotamica, e quindi vecchie di circa cinquemila anni, e il Codice di Hammurabi, re di Babilonia di quattromila anni fa, prevede codici precise che lo regolano. Non basta però il debito a fare la finanza, e su quando sia collocabile il vero, primo atto che ci informa che esiste una Borsa Valori c’è molto meno accordo fra gli studiosi.
Una congettura interessante, sostenuta dall’economista di nome Malmendier, parte dal presupposto che già nell’antica Roma repubblicana le societates publicanorum, che venivano formate per offrire servizi per il governo (come la fabbricazione, ad esempio, dei templi, o il sostentamento continuato delle famose Oche del Campidoglio), fossero già strutturate per partecipazioni, che erano scambiabili e quindi avevano un valore commerciale, peraltro variabile (e, a quanto ci dice la nostra fonte principale, Cicerone, in un suo discorso, piuttosto elevato). Per altri questa origine è troppo antica, ed è più ponderato e legittimo far risalire la nascita della Borsa alle obbligazioni Rinascimentali, come quelle che Venezia chiamò “prestiti” (erano in realtà forzosi) nel 1171, e sulle quali pagò con perfetta precisione e assoluta puntualità gli interessi, dalle carte in nostro possesso, almeno dal 1262 al 1379.
Il passare dei secoli vide muoversi i centri della finanza dall’Italia , preminente nel tardo Medioevo e nel Rinascimento (pensiamo a una famiglia come i Medici, che era composta di banchieri) alle città mercantili del Nord Europa, e Amsterdam vide, nel 1602, quell’evento che anche i più prudenti e conservatori fra gli storici ritengono il massimo limite per datare il principio della Borsa valori: la fondazione della Compagnia delle Indie orientali. Se può sollevare, la confusione nel pubblico data a poco dopo, visto che il primo libro sulla borsa esce nel 1688, scritto da Joseph de la Vega, e si intitola “Confusione delle Confusioni”. Fatto sta che pochi anni più tardi vede la luce la Borsa di Londra, il celebre Stock Exchange, e meno fortunatamente nel 1720 inizia anche la tradizione delle bolle finanziarie, con lo scoppio clamoroso della prima e il successivo momentaneo rallentamento degli scambi. Nel 1790, anche nei giovani Stati Uniti d’America nasce un mercato azionario in rapida crescita – e il resto, possiamo ben dire, è storia!
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