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Quel capolavoro di ingegneria e utopia che divenne l’Isola delle Rose

Chi ha visto “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, lungometraggio di Sydney Sibilia sulla vera vicenda datata 1968, probabilmente è rimasto affascinato dalle intuizioni ingegneristiche di Giorgio Rosa (interpretato da uno straordinario Elio Germano). L’ingegnere riuscì a piantare ben 9 piloni di acciaio sul fondale del Mar Adriatico, senza l’utilizzo di dispendiose attrezzature, e vi costruì sopra una vera e propria isola artificiale. Una struttura talmente solida che causò stupore persino le autorità italiane, quando venne il momento di demolire l’Isola.

L’Isola delle Rose: un capolavoro ingegneristico

Dopo una progettazione durata cinque anni (di cui tre effettivi di costruzione), l’Isola delle Rose apre al pubblico nel 1967, e l’anno seguente si proclama Stato Indipendente (essendo eretta a più di 11km dalla costa di Rimini, in acque internazionali). Come apprendiamo dalle informazioni presenti sul sito geocipo.it, l’installazione di strutture portanti necessita un’accurata analisi geognostica. Un processo indispensabile per garantire il consolidamento e la messa in sicurezza di una piattaforma che, nel caso specifico, doveva sopportare importanti carichi di stress dovuti a mareggiate e intemperie. Non stupisce quindi che siano stati necessari cinque lunghi anni, tra progettazione, sviluppo e realizzazione.

Utopia e sogno: quel 1968 dal sapore di libertà

Se è vero che i lavori di progettazione sono iniziati nel 1960, è solo nel 1968 che l’Isola delle Rose si proclama Stato Indipendente. Del resto il finire dei ’60 portava dentro di sé le speranze di una generazione intera, che sognava un decennio migliore. Mentre in America ci si preparava al più grande festival hippie della storia, al grido di “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, in Francia i moti rivoluzionari destabilizzavano il ceto medio: i giovani e gli studenti volevano far sentire la propria voce.

Giorgio Rosa, in fin dei conti, era uno di loro: un giovane ingegnere che sognava un mondo diverso. E lo sognava talmente tanto che alla fine decise di crearlo, a poco meno di 12 km da Rimini. Abbastanza vicino da attrarre i curiosi, abbastanza lontano da essere in acque internazionali. Sul sito geocipo.it si riporta che solo professionisti del settore sarebbero in grado di realizzare accurate prove di carico. Per cui sia chiaro: Rosa era un sognatore, ma anche un professionista che sapeva ciò che stava facendo. Uno che piuttosto che blaterare di rivoluzione, decise letteralmente di farla.

Il fallimento: l’Isola delle Rose viene smantellata

La storia la conosciamo tutti, e il finale è intuibile anche per chi non ha guardato il lungometraggio di Sydney Sibilia. L’Isola delle Rose era un progetto troppo ambizioso, nato in un periodo storico decisamente pericoloso. La paura di uno Stato indipendente a pochi km da Rimini creò lo spauracchio dell’influenza russa (del resto siamo in piena Guerra Fredda). Ma la politica, quella di partito, c’entrava solo fino a un certo punto. L’Isola era pericolosa anche e soprattutto per il suo significato simbolico: se Giorgio Rosa aveva creato un suo Stato indipendente, allora avrebbe potuto farlo chiunque.

La società perbenista degli anni ’60 cominciò a fantasticare sugli ipotetici utilizzi di quella piattaforma galleggiante, che divenne ben presto oggetto di speculazioni e leggende metropolitane. “Un luogo di perdizione” dicevano alcuni, lasciando intendere che potesse diventare una piccola Las Vegas galleggiante, svincolata dalle leggi e dalle tasse dello Stato Italiano.

Una serie di accuse che, sommate, portarono all’inevitabile fine. Alle 07:00 del mattino di martedì 25 giugno 1968, a meno di due mesi dalla dichiarazione d’indipendenza, gli uomini della Polizia di Stato e dei Carabinieri occuparono l’Isola delle Rose, in quello che tecnicamente fu un’invasione di un Paese Straniero. L’11 febbraio dell’anno seguente i sommozzatori misero la parola “fine” all’eroica vicenda, facendo detonare le cariche piazzate sui pilastri portanti dell’isola artificiale.

Come ribadito da geocipo.it però, l’opera di un professionista è per definizione un lavoro ben fatto. Gli artificieri trovarono non poche difficoltà nell’affondamento dell’Isola delle Rose, che era stata accuratamente progettata per sopportare carichi di stress elevati. I piloni che reggevano la piattaforma erano infatti stati costruiti “a cannocchiale”. Il risultato è che con la prima esplosione (quella che avrebbe dovuto provocare l’affondamento) si crearono solo delle incavature.

Dopo due giorni gli artificieri passarono alle maniere forti: piazzarono 120kg di esplosivo per singolo pilone. Anche questa volta però i pali resistettero, sebbene lo scoppio provocò significative incrinature nella struttura. Una successiva burrasca completò il lavoro, lasciando soddisfatte le autorità e spegnendo i sogni di libertà di Giorgio Rosa.

La storia però è significativa: con una forte motivazione, e capacità tecniche fuori dal comune, l’Ing. Giorgio Rosa aveva regalato a tutti un’utopia, in quel contesto di ribellione sociale che non tornerà mai più.